L'Arazzo della Biblioteca Isimbardi

La firma dello Statuto Albertino 1848

Lo Statuto Albertino è una Costituzione ovvero una Carta liberale creando una sorta di equilibrio sociale, difatti il Senato, dal Re nominato, vi è una rappresentazione della classe nobiliare, invece alla Camera vengono tutelati gli interessi della classe borghese poichè eletta dai sudditi più abbienti. L'elettorato e circoscritto ai soli maschi con alta disponibilità finanziaria, escludendo le donne e le persone povere. Il Parlamento propone le leggi e ha facoltà di bloccarle, ma il Governo è responsabile soltanto di fronte al Re: se un governo non ha l’appoggio del Parlamento farà fatica a governare ma non per questo decade. L’elasticità di questa Carta è ciò che le ha permesso di sopravvivere durante un intero secolo ma anche di vedere governi diversissimi alternarsi senza mai infrangerlo. Il testo dello Statuto resterà in vigore fino al 1948, dopo la fine della II guerra mondiale e l’istituzione della Repubblica Italiana. 

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Carlo Alberto firma lo Statuto (4 marzo 1848), arazzo, fine sec XIX, una copia in serie, le misure dell'arazzo sono altezza m. 2 larghezza m. 2,93, (v.di sezione Gli altri Arazzi).

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Nelle immagini particolari dell'Arazzo in Biblioteca Isimbardi: i fogli bianchi lo contraddistinguono.

 

Il 7 febbraio 1848 si riunì un Consiglio di Stato straordinario, che comprendeva sette ministri del governo, i decorati dell'ordine dell'Annunziata e altre importanti personalità. L'argomento del Consiglio era la opportunità di promulgare una carta costituzionale e i lavori si dilungarono per diverse ore. Il Re era presente, ma decise in un primo momento di non intervenire. Contrari alla costituzione erano De La Tour, Carlo Beraudo di Pralomo e Luigi di Collegno. Nell'intervallo del pranzo Carlo Alberto ricevette una rappresentanza della popolazione di Torino che gli chiese di concedere la costituzione per il bene comune e per preservare l'ordine pubblico.

Era ormai necessario prendere una decisione e, alla fine, fu incaricato il ministro dell'Interno Giacinto Borrelli (1783-1860) di preparare un progetto di costituzione. Una prima versione fu approvata e gli fu dato il nome di “Statuto”. Carlo Alberto aveva premesso che non avrebbe firmato se nel testo non fosse stato chiaro il rispetto della religione cattolica e l'onore della monarchia. Ottenutele, firmò. La seduta si sciolse all'alba.

Verso le 15,30 dello stesso 8 febbraio, venne affisso per le strade di Torino un editto del Re che esponeva in 14 articoli le basi dello Statuto per un sistema di governo rappresentativo. Già alle 18 la città era tutta illuminata e percorsa da imponenti dimostrazioni a favore di Carlo Alberto. L'editto precisava che la religione cattolica era la religione di Stato, ma garantiva la libertà religiosa; che il potere esecutivo apparteneva al Re che comandava le forze armate; che il potere legislativo era esercitato da due Camere, una delle quali elettiva e l'altra di nomina regia; e che si proclamava la libertà di stampa e quella individuale. Lo Statuto, completo di tutti i suoi articoli, fu approvato e firmato il 4 marzo da Carlo Alberto. Il Primo governo costituzionale fu presieduto da Cesare Balbo che si insediò il 16 marzo 1848, due giorni prima dell'inizio delle Cinque Giornate di Milano.

Rapporti con il governo provvisorio milanese

Dopo i fenomeni rivoluzionari in Francia e in Sicilia e dopo la promulgazione dello Statuto albertino, la ribellione si propagò a Milano il 18 marzo 1848, a Venezia e perfino a Vienna dove i moti costrinsero Metternich e l'imperatore Francesco Giuseppe alla fuga. A Milano ci si aspettava che Carlo Alberto cogliesse l'occasione ed entrasse in guerra contro l'Austria. Al liberale lombardo francesco Arese giunto a Torino fece avere un chiaro messaggio:

«Potete assicurare quei signori [i liberali milanesi] che io do tutte le disposizioni possibili: che quanto a me, brucio dal desiderio di portar loro soccorso e che io coglierò il minimo pretesto che possa presentarsi.»

(Biglietto di Carlo Alberto per Francesco Arese del 19-20 marzo 1848, in Bertoldi, p. 228)

 

Nonostante le risorse del Regno fossero esigue, l'esercito piemontese cominciò la mobilitazione. Le truppe per lo più si trovavano schierate ai confini occidentali, essendo quelli orientali garantiti dal trattato di alleanza con l'Austria. Tuttavia Carlo Alberto si rese conto che non avrebbe potuto mancare un'occasione unica, quella di ampliare i propri possedimenti con l'acquisto della Lombardia. Per questo chiese ai milanesi di proclamare l'annessione al Regno di Sardegna quale ricompensa al suo imminente intervento militare.

Il 23 marzo 1848 a Torino l'inviato piemontese a Milano tornò con la notizia che gli austriaci erano stati costretti a evacuare la città e che si era costituito un governo provvisorio guidato da Gabrio Casatiil quale invocava Carlo Alberto come alleato. Evidentemente non molto entusiasti dell'idea di essere annessi, i milanesi chiesero al Re di non entrare in città e di adottare come bandiera il tricolore dellaRepubblica Cisalpina.

Carlo Alberto, benché non avesse avuto la garanzia dell'annessione, accettò le condizioni dei milanesi e chiese solamente che sul tricolore comparisse lo stemma di Casa Savoia. Stava per entrare in guerra contro una grande potenza le cui truppe in Italia erano comandate da uno dei migliori generali del momento: Josef Radetzky. Riscattatosi completamente dal suo passato reazionario, il sovrano apparve al balcone di palazzo reale a fianco dei rivoltosi milanesi agitando il tricolore, mentre, entusiasti, i torinesi lo acclamavano al grido di: «Viva l'Italia! Viva Carlo Alberto!».

Ultimo aggiornamento: Wed Dec 11 12:52:41 CET 2024
Data creazione: Tue Feb 09 15:44:02 CET 2021

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