CONSIGLIERA DI PARITÀ NAZIONALE: PRESENTATI I DATI DELL’ATTIVITÀ 2023-2024
Presentato il Rapporto sulle attività delle Consigliere nazionali di Parità per l’anno 2024.
Filomena D’Antini e Agnese Nadia Canevari, rispettivamente consigliera effettiva e supplente, sono in carica dal 20 aprile 2024 per decreto di nomina della Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. Nel loro primo dettagliato resoconto sottolineano quanto le competenze attribuite al loro ruolo, relative alla parità tra donne e uomini nel mondo del lavoro, siano molto articolate e complesse, non limitate all’indagine su discriminazioni, molestie e molestie sessuali sul luogo di lavoro, ma riguardanti il mondo del lavoro nel suo insieme, in un contesto istituzionale nazionale e sovranazionale che va evolvendosi condividendo nuovi obiettivi, azioni e normative di riferimento a livello europeo.
L’attività antidiscriminatoria rappresenta in ogni caso il cuore della funzione delle Consigliere di Parità. Al tempo stesso però questa funzione è quella che maggiormente risente della cronica carenza di fondi delle Consigliere.
Ricordiamo che è prassi ormai consolidata che le discriminazioni individuali vengano trattate dalle Consigliere provinciali, mentre quelle collettive per legge sono di competenza della Consigliera di Parità regionale o nazionale, anche se le Consigliere regionali possono trattare comunque casi individuali.
Il rapporto riferisce i dati pervenuti alle Consigliere nazionali dagli uffici territoriali con i rapporti relativi al 2023 (in totale 85), 13 in meno rispetto a quelli pervenuti nel 2022 e 31 in meno rispetto ai Rapporti attesi. Questa discrepanza si registra in misura diversa ogni anno, ed è dovuta principalmente al turn-over che caratterizza il ruolo delle Consigliere, il cui mandato, come già detto, ha una durata di 4 anni.
Nel corso del 2023 sono stati 2.380 gli utenti che si sono rivolti alle consigliere, un numero simile a quello registrato l’anno precedente (erano stati 2.407 nel 2022). Le segnalazioni continuano a provenire nella stragrande maggioranza dei casi da donne (nell’81% dei casi) e rispetto al 2022 si registra un aumento di solo l’1% di quelle provenienti da uomini.
Si registra una diminuzione dei casi di discriminazioni di genere sul lavoro presi in carico dalle consigliere, che nel 2023 sono stati esattamente 1.000, il 7% in meno rispetto all’anno precedente, con l’87% delle discriminazioni che ha riguardato lavoratrici donne, rispetto all’85% dell’anno precedente.
Per quanto riguarda le motivazioni dei casi di discriminazione di genere sul lavoro presi in carico dalle consigliere, i temi della conciliazione si confermano, ancora una volta, le principali cause di discriminazione rilevate su tutto il territorio nazionale, anche se al sud spiccano le discriminazioni connesse all’accesso al lavoro. Seguono le problematiche connesse alla maternità/paternità mentre aumentano le molestie registrate al centro.
Anche nel 2023 la maggioranza dei casi presi in carico si sono conclusi nell’arco dello stesso anno, con esito favorevole alla/al lavoratrice/tore nel 91% dei casi. L’attività di mediazione delle consigliere risulta la principale modalità di conclusione dei casi, peraltro con esito favorevole alla/al lavoratrice/tore nel 92% dei casi, ma si registra un aumento dei casi archiviati per rinuncia della/del lavoratrice/tore. I ricorsi in giudizio, invece, hanno riguardato pochi casi, quasi tutti presi in carico nel Centro, così come sono residuali le conciliazioni presso l’ispettorato (26 casi, quasi tutti al nord, con 6 esiti negativi per le lavoratrici).
Anche le segnalazioni di possibili casi di discriminazioni collettive nel 2023 restano sostanzialmente stabili (sono state 252, 14 in meno del 2022). Rispetto alla precedente rilevazione si confermano maggioritarie le segnalazioni pervenute da singoli utenti (sebbene siano diminuite di 21 punti percentuali rispetto al 2022), tornano ad aumentare quelle provenienti da gruppi, organizzazioni e associazioni (+21%), mentre restano stabili i casi rilevati d’ufficio dalle consigliere regionali.
I casi di discriminazioni collettive presi in carico dalle consigliere nel 2023 sono stati sono stati 214 (erano stati 219 nella precedente rilevazione) ed hanno riguardato per quasi i tre quarti lavoratrici donne, con un piccolo incremento di 2 punti percentuali di quelle in danno degli uomini.
Quasi tutte le discriminazioni collettive relative all’anno 2023 si sono concentrate al Nord dove si registra la prevalenza di problematiche legate a conciliazione e orario di lavoro seguite da quelle riguardanti maternità e paternità. Continuano a rilevarsi casi di molestie sessuali (l’8% delle discriminazioni registrate), ed è un dato molto significativo poiché normalmente tale motivazione caratterizza i casi di discriminazione individuale. Al Centro, invece, gli unici due casi presi in carico dalle consigliere hanno riguardato problematiche connesse a maternità/paternità e a molestie. Come nella precedente rilevazione, la stragrande maggioranza delle discriminazioni collettive prese in carico nel 2023 si sono concluse nel corso dello stesso anno e il 79% dei casi trattati dalle consigliere sono stati risolti con la loro mediazione, peraltro con esito favorevole alle/ai lavoratrici/tori nel 91% delle controversie.
Lo scenario occupazionale femminile in Italia nel 2023-2024
Lo scenario occupazionale femminile, contesto in cui la Consigliera si è trovata ad operare nel 2024. Un quadro nazionale di riferimento che presenta notevoli criticità e vale anche a livello delle singole regioni e province per comparare le disparità sia in positivo che in negativo.
Secondo il Gender Policy Report dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche INAPP, nonostante alcuni progressi comunque raggiunti e l’adozione anche di policies innovative, le disparità di genere continuano a permanere, assumendo un carattere strutturale dove i divari di genere sono considerati “costanti e irrisolti”.
«Pur a fronte di una crescita del tasso di occupazione femminile (52,5%, +1,4% rispetto al 2023), rimangono invariati per le donne rispetto agli uomini i tassi di disoccupazione e di inattività (…)».
«Nell’analisi delle motivazioni emerge con chiarezza come il lavoro di cura sia ancora per le donne la causa principale di assenza dal mercato del lavoro rispetto alla componente maschile che adduce invece come motivazione dell’inattività lo studio e la formazione».
«Le donne occupate, secondo l’indagine INAPP Plus, sono anche quelle che maggiormente ricorrono al congedo parentale (pari al 65%), a detrimento del livello retributivo».
«La partecipazione discontinua delle donne al mercato del lavoro dovuto alla maternità e al lavoro di cura è la condizione all’origine della segregazione del mercato del lavoro femminile italiano sia orizzontale che verticale, che insieme alla precarietà del lavoro, determinata dalla prevalenza di contratti a termine, stagionali, in somministrazione e intermittenti, ne limita fortemente la capacità reddituale esponendole al fenomeno del lavoro povero».
«Il lavoro part-time continua ad aver un ruolo importante in questo contesto, sia come condizione contrattuale di ingresso nel mercato del lavoro per le più giovani, sia come fattore di permanenza nel mercato sia esso volontario o involontario (…). Il tempo parziale associato al contratto a tempo determinato porta a quella che l’INAPP chiama la “doppia debolezza” che caratterizza il collettivo femminile (64,5% dei contratti a termine) rispetto a quello maschile (33%)».
Gli ultimi dati CNEL (Bollettino 1/2025) evidenziano che il tasso di occupazione femminile è pari al 53,7% contro il 70,5 % di quello maschile, confermando le disparità territoriali già note e le tendenze sul part-time che in media, occupa circa il 30% delle lavoratrici a fronte invece del 7% di lavoratori uomini. Dati in sostanza confermati dal Rendiconto di genere INPS 2024 che evidenzia quanto sono più elevati per le donne rispetto agli uomini sia il tasso di mancata partecipazione al lavoro (18% rispetto al 12,3%) che l'incidenza del part-time involontario (15,6% contro il 5,1%).
Il più recente Rapporto CNEL-ISTAT (2025) rileva nel secondo semestre 2024 segnali di rallentamento, con una crescita dell’occupazione femminile (+0,9%) e una diminuzione della disoccupazione (-0,8%) e dell’inattività (0,5%) peggiorati rispetto al trend tendenziale nel 2023. Nei dati provvisori del mese di dicembre, per le donne, il trend congiunturale positivo rallenta fino a invertirsi, con un calo del tasso di occupazione associato all’aumento del tasso di disoccupazione e alla stabilità di quello di inattività. Nel terzo trimestre 2024, l’incremento tendenziale del numero di occupate è per il 71,3% dovuto alle ultracinquantenni.
Nel suo Rapporto BES (Benessere equo e sostenibile) ISTAT rileva che come migliore la condizione maschile sia migliore anche per quanto riguarda la percezione della qualità del lavoro: sono meno numerosi i lavoratori uomini che percepiscono l'insicurezza lavorativa (3,7% uomini, contro il 4,7% delle donne) tra i quali si registra anche il più basso tasso di occupati sovra-istruiti (25,4% degli uomini contro il 29,4% delle donne). Lo stesso Rapporto evidenzia il fatto che il difficile inserimento lavorativo delle donne le espone ad un maggiore rischio di povertà (20% delle donne contro il 17,8% degli uomini), che diventa più preoccupante soprattutto per le età più elevate: l'aver avuto in prevalenza carriere lavorative discontinue e nei settori meno remunerativi, fa sì che le donne siano percettrici di pensioni più basse, in un momento della vita dove potrebbe acuirsi il bisogno di cura.
Qui il rapporto integrale (PDF - 3.804 KB)