Santuario Beata Vergine, Saronno VA
Il santuario della Beata Vergine dei Miracoli è l'esito di una serie di campagne costruttive che datano dalla fine del Quattrocento all'inizio dell'epoca barocca, cui si inframmezzarono interventi decorativi di altissimo livello. Il nucleo originario può essere tuttavia riconosciuto abbastanza chiaramente nella tribuna, formata dal grande corpo cubico cupolato, individuabile all'esterno per l'emergenza del tiburio marmoreo a 12 facce, affiancato da due cappelle quadrate e concluso, dopo un passaggio voltato a botte, dal presbiterio quadrato e dalla cappella absidale poligonale (le navate, la sacrestia sul fianco sud e la monumentale facciata furono realizzate tra la metà del sec. XVI e l'inizio del Seicento; intermedia è la costruzione del campanile). Le notizie sul-la fondazione del santuario, tramandate solo da memorie assai posteriori, sono scarse: intorno al 1460 daterebbe la miracolosa apparizione della Madonna ad un infermo nei pressi di Saronno; nel 1498 fu posta la prima pietra della grande fabbrica destinata ad ampliare una prima chiesetta, forse coincidente con il presbiterio quadrato e l'abside poligonale, presso la quale si erano moltiplicati i prodigi incrementando la devozione; nel 1502 papa Alessandro VI autorizzava i saronnesi, promotori di un'iniziativa di chiaro significato civico, a gestire i lasciti e i lavori tramite sei deputati; nel 1505 Giovanni Antonio Amadeo, protagonista dell'ultima fase dell'architettura sforzesca e testimone dell'avventura bramantesca in Lombardia, sottoscriveva il contratto per la costruzione del tiburio poligonale che cela la grande cupola. Che all'Amadeo, affian-cato forse da Giangiacomo Dolcebuono, sia da attribuire o meno il progetto dell'intero impianto primitivo, a Saronno tornano questioni di primo piano allo scorcio del se-colo, già affrontate nella tribuna di S. Maria delle Grazie e in S. Maria presso S. Celso a Milano: il tema della pianta centrale, suggerito dall'organismo in origine probabil-mente cruciforme (il vano quadrato maggiore era forse preceduto da un quarto braccio quadrato come i due laterali) confluente nella cupola, simbolo del cielo cui Maria ascende; il ruolo di alcune geometrie cui gli intellettuali della corte sforzesca davano significati simbolici al contempo cristiani e pagani (il tamburo a 12 lati, forse pensato per una cupola con altrettanti spicchi, rimanda ai segni dello zodiaco ma anche agli apostoli); l'uso di tracciati regolatori nel disegno della pianta per riprodurre l'armonia del mondo di creazione divina; i riferimenti all'architettura antica leggibili nelle lese-ne con eleganti capitelli corinzi che scandiscono i volumi e suggeriscono sulle pareti del vano cupolato degli archi di trionfo. All'esterno, nella galleria di eleganti bifore a tutto sesto vivacemente policrome che cela la cupola, la tradizione dei tiburi romanici lombardi convive con la riscoperta del mondo classico, evidente dalla congerie di mo-tivi ornamentali di derivazione antica (tritoni, maschere, medaglie con profili di impe-ratori, ecc.). Sulle pareti e sulle volte del santuario si dispiegano notevoli cicli di af-freschi: da quelli del Luini, che dilatano lo spazio con accorgimenti prospettici di ma-trice bramantesca, al concerto angelico di Gaudenzio Ferrari che pare accompagnare l'apparizione dell'Assunta. Contribuiscono ad arricchire l'architettura in senso scenografico una delle maggiori rassegne della statuaria lignea policroma rinascimentale e un vasto repertorio di ornamenti "all'antica", a partire dalle grottesche, applicati agli elementi dell'architettura (lesene, capitelli, arcate).