Vigevano-Piazza Ducale

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Già nel Medioevo il borgo di Vigevano, benché non potesse fregiarsi del titolo di città (riservato ai capoluoghi dotati di sede vescovile e capaci di esercitare un controllo su un territorio), veniva considerato tra i centri più importanti della pianura padana. Ben difeso da un castello e forte della posizione strategica per il controllo sulle acque e sui ponti del Ticino e la vicinanza della fertile Lomellina, il borgo riuscì nel corso del XII e del XIII secolo a mantenere una relativa autonomia rispetto alle due maggiori città più vicine, Milano e Pavia, stipulando accordi ora con l'una ora con l'altra. Nel XIV secolo, con la definitiva affermazione della signoria dei Visconti, il rapporto con Milano diventa preferenziale, benché l'adesione di Vigevano ai programmi politi-ci della signoria non diverrà mai incondizionata. E' in questo periodo che si pongono le premesse per la trasformazione in raffinata residenza dell'antico castello di Vige-vano, posto in posizione centrale nell'abitato a causa dello sviluppo del borgo medie-vale tutto attorno ad esso, e dunque diventato assai inadatto alla difesa: la costruzione da parte del podestà Luchino Visconti di una nuova rocca periferica (scomparsa) e il suo collegamento alla vecchia con la mirabile strada coperta, un passaggio su due li-velli di notevole ampiezza e solidità destinato ad assicurare il passaggio in sicurezza e riservatezza di uomini, carrozze e cavalli, inaugurano un processo di ridefinizione del castrum medievale come abitazione signorile. Questo giunge al suo culmine nell'ultimo decennio del Quattrocento, quando Ludovico il Moro avvia un programma generale di trasformazione di Vigevano e della campagna circostante in una delle più magnifiche sedi periferiche della corte e quando tra i nomi degli intellettuali di corte sollecitati a tradurre queste aspirazioni in realtà troviamo personaggi del calibro di Leonardo da Vinci e di Donato Bramante. Tre sono i luoghi in cui oggi è possibile riconoscere le tappe di questo programma: la piazza, il castello, e la cascina Sforze-sca, situata nella campagna a sud del borgo. Tra il 1492 e il 1494 Ludovico riesce a portare a termine un ambizioso progetto, rea-lizzando ciò che non gli era stato possibile nemmeno a Milano: trasformare il maggio-re spazio aperto pubblico di Vigevano, una larga contrada con alcuni portici sotto i quali si svolgeva una intensa attività mercantile, in una splendida piazza, che con l'ampiezza, l'uniformità dei fronti, e la raffinatezza delle decorazioni affrescate, riu-scisse a riproporre l'immagine di un foro "all'antica": un'immagine affascinante, che emergeva dalle pagine del trattato di architettura del romano Vitruvio (I sec. a.C.) e che era stata ripresa nel in quello quattrocentesco di Leon Battista Alberti, uno dei maggiori architetti intellettuali dell'Umanesimo. Espropriate e demolite diverse case, furono edificati portici su solide colonne lapidee con due piani superiori, caratterizzati da aperture e altezza uniformi; i fronti continui erano interrotti solo dalla facciata o-bliqua della chiesa maggiore di Vigevano (oggi nascosta dallo scenografico fronte barocco) e dalla rampa di accesso al castello, che in origine prorompeva nella piazza dando ben altra predominanza alla svelta torre che ne domina l'ingresso. Le semplici pareti di questa grande "stanza" urbana furono poi trasfigurate attraverso una decora-zione ad affresco che simulava un'assai più complessa e raffinata architettura di sapo-re classicheggiante: finte trabeazioni continue con bellissimi fregi a coronare il piano delle arcate e quello delle finestre; in mezzo un ordine di colonnine a candelabra; grandi archi di trionfo alla romana in due punti in cui le vie del borgo entravano nella piazza. Di questa architettura illusionistica (purtroppo oggetto di radicali ridipinture nel Novecento), se non dell'ideazione dell'intera piazza, viene quasi unanimemente riconosciuto responsabile Donato Bramante (piuttosto che Leonardo), non a caso giunto in Lombardia come pittore "prospettivo", capace cioè di rappresentare spazi illusionistici sul piano grazie all'artificio prospettico (Bruschi, '69, p. 647; Borsi, '89, p. 193). L'attività dell'architetto urbinate a Vigevano è documentata con più certezza nel ca-stello, anche se le strutture attuali ne conservano più degli indizi che delle prove. Dal-la piazza, tramite uno scalone seicentesco che ha inizio sotto il portico, si giunge all'ingresso al castello passando sotto un torrione; quest'ultimo, di origine viscontea, fu soprelevato nel 1492 con la caratteristica successione di torrette digradanti, ma la datazione non è certo prova sufficiente dell'intervento di Bramante (sostenuto da uno scrittore cinquecentesco). Entrati nel cosiddetto "piazzone" si ha di fronte un com-plesso assai composito, in cui si sommano preesistenze medievali, interventi viscon-tei, addizioni legate a ciascuno dei duchi Sforza, e infine adattamenti in stile neogoti-co del secolo XIX. In primo piano è il "maschio" di origine medievale, riconoscibile nella superstite struttura a U con tre torrioni (nel Quattrocento un muro completava il quadrilatero, attorniato da un fossato, e un ponte levatoio dava accesso allo spazio compreso tra le tre ali, che oggi affaccia sul piazzone). Se la grande disparità delle aperture fa intuire la sovrapposizione di più interventi (il fronte più regolare è inven-zione dei restauratori dell'Ottocento), è nel lato opposto al piazzone che si rintraccia un brano pienamente rinascimentale. Qui si proiettano altre due ali, una delle quali costruita a ridosso della strada coperta trecentesca, edificate intorno dal 1493 per co-stituire un nuovo appartamento per Beatrice d'Este, moglie di Ludovico, e per il figlio neonato; le ali delimitavano un giardino di impianto regolare, all'epoca chiuso da un muro che lo nascondeva alla vista dalla città. Le nuove stanze erano decorate all'inter-no con raffinati affreschi, cui per certo sovrintese Bramante. Se dei dipinti e dell'ori-ginaria ala est nulla rimane, nella ovest si possono ancora vedere i bellissimi capitelli corinzi su snelle colonne con corretta entasi classica (il rigonfiamento del fusto, al modo degli antichi); la loggia che formavano, ora tamponata, era detta "delle Dame", con riferimento alla duchessa. Il grande cortile che circonda in buona parte il maschio è invece delimitato da una successione di corpi bassi, che si riconnettono ad esso a sinistra e a destra, con scopi più direttamente utilitari. Dell'età di Ludovico è la più ampia delle tre successive scuderie, ambienti a tre navate su colonne lapidee con rozzi capitelli scudati e con locali di servizio sovrapposti, edificati a tappe dagli Sforza (tra la prima è la seconda è un atrio neogotico con capitelli forse di reimpiego). Più incerta è la datazione della falconiera, l'aerea loggia che si prolunga in un leggiadro portico soprelevato posto a connettere la scuderia più vecchia con l'ala destra del maschio: le arcate di belle proporzioni, da sotto le quali spiccavano il volo falconi e sparvieri, so-no rette da colonnine con capitelli molto vari, che hanno fatto ipotizzare una costru-zione per fasi. Ma sono stati i restauri più recenti a rivelare forse la traccia oggi più chiara della presenza di Bramante: il fronte delle scuderie verso il piazzone, in sé privo di particolare dignità architettonica, fu unificato da una decorazione affrescata simulante una raffinata architettura: su una trama di finte bugne ottagonali a punta di diamante, dovevano spiccare (più chiaramente di oggi) snelle colonne scanalate con capitelli corinzi di aspetto metallico, sorreggenti una trabeazione dalle complesse modanature posta tra i due piani; le aperture ad arco scemo e a tutto sesto avevano raffinate cornici dipinte a palmette, spalle in forma di colonnine e sottodavanzali ad archetti intrecciati. Al di là della compresenza di elementi più e meno aggiornati, questo tipo di decorazione con valenza puramente architettonica fa pensare a Braman-te. Uscendo da Vigevano in direzione sud, si è facilmente indirizzati alla "Sforzesca". L'edificio si presenta oggi come un cascinale quadrangolare a corte chiusa, contrasse-gnato dalla presenza di torri ai quattro vertici. Nonostante la modestia delle strutture rimaste e le perdite subite nei secoli, che non ne fanno facilmente presagire l'antichità, la regolarità dell'impianto e la grandiosità della costruzione sono in grado di evocare ancora oggi l'ambizioso programma che Ludovico il Moro incentrò attorno a questo edificio, posto in una campagna che si voleva resa sicura e pacifica dalla pre-senza della signoria. Intorno alla Sforzesca Ludovico promosse attività sperimentali di coltivazione e di allevamento (notissima l'introduzione di gelsi e bachi da seta scelti), curate da esperti provenienti spesso da lontano, e la realizzazione di bellissimi giardi-ni e di orti, grazie anche alla regolazione delle acque. Abitazioni da nobile e da mas-saro, depositi per i prodotti e gli attrezzi agricoli, ricoveri per gli animali dovevano trovare posto nella grande cascina, tra le prime per cui si possa usare questo termine in Lombardia e una sorta di prototipo ideale. Se già negli ultimi anni del secolo l'esperimento pare fallire, l'arrivo delle armate francesi fermerà definitivamente i progetti e spegnerà ogni illusione sulla stabilità del potere sforzesco e sulla conse-guente sicurezza della campagna. L'ottenimento nel 1530 da parte di Francesco II Sforza del titolo di città per Vigevano e di quello di cattedrale per la chiesa (per la quale furono avviati progetti di ricostruzione documentati tra l'altro dal bel modello ligneo conservato in Duomo), perseguiti già da Ludovico e intesi a dare lustro ad una corte sempre più spesso residente nel borgo, costituirono l'ultimo dono alla città da parte di una signoria ormai prossima alla fine.