Concetti artistici
Tratto dal saggio di Luciano Patetta
Bramante autore di sonetti burleschi
La Milano sforzesca fu uno dei centri dove maggiormente trionfava la cortigianeria. Soprattutto nell'età di Ludovico il Moro si produceva poesia adulatrice in ogni occasione.
In un clima di accesa mania di poetare, componevano versi anche Isabella e Beatrice d'Este e Donato Bramante. I sonetti di Bramante erano molto stimati, anche se non erano di soggetto mitologico e allegorico, ma contenevano lamentele sullo stato delle sue finanze così cattivo da farci supporre che il grande architetto vivesse quasi in miseria, con le vesti stracciate, come ad esempio nei versi: "Erno le calze mie tutte stracciate / Unte più che tovaglie da taverne / Tal che i ginocchi per pietà fraterne / L'un pianse ad un balcon, l'altro andò frate.
Gaspare Visconti e Bernardo Bellincioni per desiderio della duchessa di Milano ingaggiarono un "duello" poetico sul Bramante. Poetava il Visconti: "Quanto è Bramante ai mondo huom singulare ciascun a questa estate il vede e intende e si potrebbe più presto numerare / …nei cieli l'anime sante / che dir le cognition ch'a in se Bramante".
Sulla grandiosa produzione architettonica di Bramante degli anni romani sono numerosissime le esaltazioni, di Michelangelo, di Vasari, di Sabba da Castiglione e di Henvernita Cellini). Di seguito ad esempio l'epitaffio di Girolamo Casio: "Lo architetto Bramante in Milan nacque servì la patria in fin che visse il Moro, con Giulio in Roma crebbe fama e oro, lassò qui il vel, là in ciel l'anima rinacque.".(…)
Ma come tutti i grandi, Bramante suscitò, soprattutto a Roma, invidie e rancori. Ne sono testimonianza vari sonetti scurrili e un ironico poemetto.(…)
Il Guarna ci ha lasciato un ritratto caricaturale del grande architetto e della megalomania del suo committente, papa Giulio II, i cui programmi costosissimi lasciavano irrisolti i problemi concreti della città. È stato lui probabilmente il primo a "ufficializzare" la fama di Bramante quale "maestro ruinante ", fama dovuta alla demolizione dell'antica basilica di San Pietro,
Nel poemetto satirico si immagina che il grande architetto compaia al cospetto di San Pietro, custode della Porta del Paradiso. L'Apostolo si mostra irritato per la demolizione della sua antica basilica romana, ma Bramante non appare affatto pentito, anzi propone arrogantemente una scala "a lumaca" che permetta di salire comodamente a cavallo fino al cielo. Propone persino di riprogettare il Paradiso e, se ciò non venisse accettato, minaccia di rivolgersi a Plutone per rifare ex novo l'inferno
Tratto dal saggio di Pietro C. Marani
La pittura a Milano al tempo di Bramante (1477-1499)
Al tempo dell'arrivo a Bergamo di Donato Bramante, attorno al 1477, la situazione artistica vedeva da un lato gli artisti locali, dall'altro l'apparire di artisti coinvolti con l'area veneta che si ispirano ad esempio alle stampe del Mantegna; essi segnano decisivi orientamenti di apertura alla cultura prospettico matematica, rettificata però sul "lume" lombardo, e al recupero dell'antico, cui s'adeguano subito anche gli artisti locali,(…)
Si può forse pensare che la scena bergamasca fosse in qualche modo già predisposta ad accogliere un nuovo linguaggio figurativo che viene infatti a occupare prepotentemente la scena con l'aprirsi del cantiere della Cappella Colleoni, che segna la svolta decisiva in direzione antiquariale, e in direzione milanese, con la chiamata a Bergamo di Amadeo.(…)
Anche se la cultura e gli esiti di Amadeo profondamente differiscono da quelli di Bramante, l'apparire a Bergamo di quest'ultimo nel 1477 deve collocarsi in una ormai diffusa aspettativa di aggiornamento da parte dei committenti bergamaschi. . La nuova monumentalità introdotta da Bramante e l'intelaiatura prospettica costituiscono le novità emergenti rispetto al linguaggio e alla cultura antiquariale di Amadeo.
Poco sappiamo della formazione di Bramante e delle ragioni che lo indussero a spingersi, dalle Marche, o forse da Urbino, fino a Bergamo. Lo spostamento di Bramante a Milano, avvolto dal più fitto mistero, sembrerebbe ragionevolmente cadere subito dopo la breve esperienza bergamasca, e ben diversamente da Bergamo, Milano viveva una situazione assai più articolata e aperta a stimoli esterni.(…)
Se si deve prestar fede alla data del 1468 che si dice conclusiva di tutti i lavori nella Cappella Portinari in Sant'Eustorgio, si osserva che, già da un decennio, Vincenzo Foppa aveva esposto con larghezza di visione, di spazi e di luce, forse il primo ciclo narrativo "moderno" della storia dell'arte milanese; altrettanto autonomamente Cristoforo de' Mottis era intervenuto nelle vetrate del Duomo di Milano ad accogliere nelle sue composizioni gli stimoli che gli venivano suggeriti dalle architetture del Filarete, di Amadeo e, forse, dall'eco delle opere padovane del Mantegna stesso.(…)
Nell'ottavo decennio del secolo, la presenza ondivaga a Milano di artisti e prodotti nordici, savoiardi e financo "mediterranei" contribuiva però a rendere non esclusivo il riferimento a Foppa nella Milano tra il settimo e l'ottavo decennio.(…)
Il gusto della corte, negli anni che vedono Bramante stabilirsi a Milano, sembra in realtà ancora orientato a privilegiare quel genere di produzione "padana" di forte ascendente ferrarese in cui il compiacimento della rappresentazione del lusso e i caratteri di preziosità della materia costituiscono la cifra più peculiare, in antitesi con il naturalismo di Foppa, ed è altrettanto singolare osservare che lo stesso Bramante sembri muoversi da una situazione di asservimento alla moda ferrarese nell'incisione Prevedari.(…) Non sappiamo molto dell'opera di Bramante all'interno del nono decennio del Quattrocento. Lo ritroviamo però in casa di Gaspare Ambrogio Visconti per il ciclo degli Uomini d'Arme. L'importante commissione di questo ciclo, dal significato allegorico (da intendersi come allusivi dello "Stato perfetto" o, più verosimilmente, da collegarsi al culto della personalità e dell'eroe) dovrebbe testimoniare una fama e un'abilità di Bramante ormai ben attestata nel corso di questo decennio come decoratore e frescante. L'affermazione di Bramante come pittore "illusionista" nel ciclo degli Uomini d'arme avrà forti ripercussioni nell'ambiente milanese.(…)
In una sala tutta dipinta a finte architetture, gli Uomini d'arme erano collocati su "agulie, vasi e piedestalli", mentre nella sala antistante a questa, su un camino, erano collocati Eraclito e Democrito, come a introdurre le raffigurazioni degli uomini famosi (con le fattezze di personaggi eminenti della corte sforzesca, come ricorda il Lomazzo) attraverso l'allusione ai caratteri opposti della vita, il pianto e il riso, secondo la filosofia neoplatonica che associava il culto dell'eroe all'esaltazione della virtù, frutto della temperanza tra forza fisica (Uomo con lo spadone, Uomo con la mazza) ed elevazione spirituale (Il cantore, L'uomo laureato).(…)
Il nuovo linguaggio bramantesco agisce sui maestri della "vecchia" scuola lombarda e già dentro il nono decennio del secolo, ancor prima che in Leonardo e nei suoi epigoni. Lo stesso Foppa ne avverte la presenza condizionante: Con attenzione per i nuovi modelli leonardeschi, la figura umana acquista nuova struttura e consistenza e lo spazio si fa più illusivo, sempre in deroga alle leggi prospettiche: gli intendimenti scenografici propugnati da Bramante attecchiscono persino in un cantiere tutto sommato isolato quale quello della Certosa di Pavia.(…)
Vi è immediata ricezione a Milano delle tipologie e dello stile pittorico, largo e tondeggiante, delle figure di Bramante e lo stesso Zenale nella Cappella Grifi in San Pietro in Gessate e il Montorfano in Santa Maria delle Grazie, accolgono immediatamente il nuovo linguaggio bramantesco.(…)
Gli anni di pubblicazione degli Uomini d'arme, intorno al 1487, coincidono con quelli in cui si dà per appena conclusa la prima versione della Vergine delle Rocce di Leonardo, ripresa più tardi da Zenale in una versione in cui la partitura e il disporsi delle rocce a descrivere grandiose arcate e volte sorrette da peducci rocciosi, sembra rifarsi , più che a Leonardo, al lessico architettonico di stampo bramantesco.(…)
Il contrasto tra le due culture, quella bramantesca e quella leonardesca, è assai avvertito: infatti nel corso dell'ultimo decennio del Quattrocento, lo stesso Leonardo, sembra, alla fine, deflettere da suoi stessi precetti e aderire, nel Cenacolo, alla visione prospettico-illusionistica di Bramante, accettando di figurare le pareti sfuggenti di un'improbabile e lunghissima finta sala che ospita la riunione di Cristo e degli apostoli. Sempre rinnovandosi, Leonardo perviene però, subito dopo, a un'interpretazione ancora una volta personalissima dello spazio (e dell'architettura) nella decorazione della Sala delle Asse nel Castello di Porta Giovia: l'estensione dello spazio avvolgente, intorno al punto di vista, e cioè intorno al nostro occhio, per trecentosessanta gradi, è l'inversione esatta dei principi centrici e frontali sui quali si regge l'illusionismo scenografico bramantesco.(…)
Lo studio della scultura antica da parte di Leonardo, probabilmente stimolato dalla commissione del Cenacolo, e lo studio dei monumenti antichi da parte di Bramante, considerati indispensabili da entrambi, condurranno la storia dell'arte italiana a quella svolta che il Vasari avrebbe poi definito la "maniera moderna".
Data creazione: Tue Jul 25 17:37:51 CEST 2017